Storia della birra  
Di pari passo con l'uomo
 

I primordi
Agli albori della sua comparsa sulla terra, l'uomo
viveva nei boschi, che ricchissimi ricoprivano il globo, e si nutriva essenzialmente di bacche, radici, frutti e, per quanto gli era possibile, di caccia. Questa vita difficile, dura, tesa alla continua ricerca di cibo, fra l'altro non sufficientemente disponibile per tutto l'arco dell'anno, faceva sì che la crescita della popolazione fosse estremamente limitata sia perché la scarsità di cibo influiva sulla fertilità, sia perché perla sopravvivenza i gruppi familiari, o piccole tribù, avevano bisogno di larghi spazi ove cacciate ed effettuare la ricerca dei vegetali commestibili. Soltanto dopo aver scoperto l'agricoltura - ma per compiere questo piccolo passo occorsero migliaia di anni- l'uomo poté disporre di più abbondanti quantitativi di cibo per tutto l'anno, raggiungendo così più sicurezza e serenità, Quindi uscì dalla foresta e conquistò i larghi spazi delle praterie ove meglio poté applicare le pur rudimentali tecniche agricole, Le famiglie crebbero, si formarono tribù, villaggi, paesi, sempre più grandi centri abitativi: cominciava il processo di crescita della popolazione che, nel breve volgere di pochi millenni, avrebbe portato la civiltà dell'uomo sino ai nostri tempi.
Gli abitanti dei boschi, per rispondere agli innumerevoli misteriosi interrogativi della natura, come la nascita, la morte, le piogge, i lampi, i tuoni, il sole, le stelle, la luna con le sue fasi, la crescita dei frutti, il fuoco, il gelo dell'inverno e così via, avevano individuato forze misteriose alle quali attribuire la causa di quei fatti, per la loro mente così strabilianti e non diversamente spiegabili: stiamo assistendo alla nascita della religiosità, con tutte le collaterali animistiche, le credenze, i cerimoniali, i tabù, i totem, le divinità, tanto più importanti quanto più inspiegabile e misterioso era l'evento che rappresentavano.
Nacquero allora le divinità agricole: la dea Nidaba dei Surneri, la vacea solare narluli degli egiziani e Cerere, la dea romana del raccolto.
La popolazione delle divinità crebbe così a dismisura:
una per ogni evento, spesso doppioni importati dalle tribù o popolazioni limitrofe. Gli dei erano tanti, potenti e spesso pericolosi. Occorreva ammansirli, ingraziarseli. Nacquero così i riti propiziatori, i sacrifici che volevano essere di buon auspicio e di espiazione nello stesso tempo.
Nei boschi l'uomo offriva alle divinità le bacche, le radici raccolte, i piccoli animali; quindi animali più grandi e in maggior numero in rapporto alla ricchezza alimentare raggiunta. Nella evoluzione del sistema si spiegano così i sacrifici umani, estrema espiazione delle colpe. Bevendo la coppa dì sangue se ne ingerisce l'essenza sacrale, l'essenza vitale con la quale sì onora dio. Con altrettanta sacralità si spreme il succo dei frutti per estrarre la parte più infimamente essenziale; questo forse il motivo per il quale il primo uomo ha spremuto l'uva, con quel che ne consegue. Questo stesso principio ha indotto probabilmente l'uomo a far macerare la farina di frumento nell'acqua, per estrarne la vitalità, birra primordiale passata, nell'uso, da bevanda sacrificale a bevanda abituale. Non sembra quindi ardua la tesi che le origini della birra risalgano sino dai tempi della scoperta dell'agricoltura. La birra fu certamente, dopo T'acqua, la prima bevanda mai consumata dall'uomo. Molto tempo prima della vite, già si coltivava nel mondo l'orzo che, spontaneo o coltivato, fu ed è presente in tutte le latitudini della terra, mentre è noto che la vite cresce solo nella fascia temperata.

I Sumeri

La civiltà sumera fu certamente la più grande e antica mai comparsa sulla faccia della terra. Nasce, poco prima della civiltà egiziana, nella fertile terra d'Asia in una fascia compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate. Nel periodo sumerico, per intenderci oltre 5.000 anni fa, si ricavava dall'orzo, prodotto principale dell'agricoltura di allora, una bevanda nazionale, molto simile alla nostra birra, che veniva chiamata sebar-bi-rag, letteralmente "bevanda che fa veder chiaro".

Le cannucce usate dai Sumeri servivano per evitare di ingoiare i residui della lavorazione della Birra

Babilonia fu per l5OOanniilcentrodellaciviltà mesopotamica. Sorprendente la sua rete di fognature, autentico miracolo di ingegneria; straordinari i suoi giardini pensili, per i quali era famosa, annoverati alle sette meraviglie del mondo. Famosa era la sua torre, famosissimi i suoi tessuti, che sapeva produrre di ottima qualità con colorazioni raffinate. Ma ancora più famosa eralase-bar-bt-sag, di ottima qualità, oggetto di commercio e intenso scambio in tutta la Mesopotamia e oltre.
La fabbricazione era estremamente semplice ed efficace. Selezionavano dal raccolto annuale il migliore orzo, che veniva posto a inumidire sino a quando principiava la germinazione, quindi veniva messo ad asciugare al sole, e quando era ben secco si macinava e si impastava con acqua formando dei pani. Quando questi erano spontaneamente lievitati, si ponevano a cuocere a forno molto caldo, in modo che si formasse rapidamente la crosta, mentre all'interno la pasta doveva rimanere molliccia. Per ottenere la birra, questi pani venivano frantumati e posti a cuocere con abbondante acqua in grandi recipienti di terracotta; quindi, al liquido filtrato si aggiungevano erbe aromatiche, come li salvia e il rosmarino. Tutto ciò avveniva sotto lo stretto controllo dello Stato, l'unico e solo ad avere diritto a tali produzioni, e la lavorazione ufficiale aveva luogo nei locali delle cantine reali, per opera dei prestigiosi gat-bi-sag, i mastri birrai dell'epoca, utilizzando apposite giare e vasi sui quali spiccavano, oltre ai simboli dell'orzo e della birra, i sigilli reali.

Gli Egiziani

Importantissimo anche nell'antico Egitto era la produzione di birra che, nei consumi popolari, veniva subito dopo l'acqua del Nilo. Scarsa la presenza del vino d'uva, più diffuso invece il vino di datteri. Le prime notizie certe risalgono al 310(3 a.C. e narrano della ostessa Azag-Baula quale preparava e vendeva nella sua cantina una birra di cereali, che nella lingua egiziana più arcaica veniva chiamata henqet Nasce probabilmente parallelamente alla se-bar-bi-sag sumera, e non si hanno documentazioni sufficientemente comprovanti la priorità dell'una sull'altraGli egiziani facevano risalire l'invenzione della birra al dio Rie, il quale ne aveva fatto splendido dono agli uomini. Dai testi sacri del tempio a Uruk si deduce che dovevano essere almeno quattro i tipi di birra prodotti, birra che veniva offerta annualmente in diciotto vasi d'oro al dio Anu. Se ne ha però notizia certa di solo tre tipi: la zythum, birra chiara, la curny che doveva essere di colorazione più scura, e la sà, birra ad alta concentrazione, riservata all'esclusivo consumo del Faraone e per le cerimonie religiose. La lavorazione era molto simile a quella sumerica, a parte la maltizzazione che venne scoperta e impiegata solo in epoche successive, probabilmente quando si volle imitare la più raffinata lavorazione della prestigiosa birra babilonese. Per l'aromatizzazione si ricorreva con maggiore frequenza al miele di datteri e alla cannella, non disdegnando però salvia e rosmarino.
La birra è presente lungo tutto l'arco della vita degli antichi egiziani: dalla nascita alla morte. Lattanti, venivano svezzati con una miscela a base di zythum, acqua, miete e farina di orzo; più grandicelli, venivano invitati a un moderato consumo della bionda bevanda, con un'apposita cerimonia di iniziazione. Anche in medicina e nelle formule magiche la birra rivestiva grande importanza; come balsamo contro le malattie con particolare riferimento a quelle di origine intestinale, per curare le ferite, come antidoto al velenoso morso degli scorpioni. Si racconta che il mago Dodi, con ripetuti impacchi di birra riusci addirittura a resuscitare un toro e un'oca riattaccandone la testa mozzata.
La birra era inoltre comunemente impiegata quale complemento agli emolumenti degli operai Non si può però chiudere questo capitolo sull'Egitto senza accennare all'ultima regina della sua storia, la più nota e la più chiacchierata: Cleopatra. E noto come, sentendosi anziana e non più desiderata, capendo di aver perso il suo ben noto fascino femminile e timorosa di essere trascinata a Roma quale trofeo di guerra, decise di porre fine ai suoi giorni facendosi mordere da un aspide. Ebbene, prima di compiere quest'ultimo definitivo gesto, si fece mescere dalle ancelle due coppe di sa', la forte birra degli dei, che offrì una a se stessa, prossima dea sorgente dall'imminente morte, e una alla dea Anubì che l'avrebbe accompagnata nel lungo viaggio d'oltretomba.

I Greci

I greci, o meglio, alcuni greci, avevano una decisa antipatia nei confronti della birra che chiamavano con il termine spregiativo di "vino d'orzo". Eschilo nelle Supplici formalizza il pensiero dei suoi concittadini poiché, parlando con tono di scherno degli egiziani, dice: "...gli abitanti non sono uomini veri, ma uomini che bevono vino d'orzo.", Che tipo divino bevessero poi i "veri uomini ce lo racconta Omero. Una coppa divino schietto allungato con due coppe di acqua di fonte, aromatizzato con miele e resine varie. Comunque, abitualmente in Grecia il vino si beveva schietto solo in alcune occasioni, mentre nell'uso comune veniva preparato come ce lo descrive Omero. I cretesi erano invece ottimi preparatori di birra, che chiamavano bruton e consumavano in proporzioni pari se non maggiori del vino che sapevano produrre, anche questo, di ottima qualità. La birra veniva preparata artigianalmente in proprio, sia nelle case dei contadini sia in quelle patrizie.
Sugli stupendi vasi ritrovati a Cnosso, frequenti sono le decorazioni con spighe di orzo e sovente appare il simbolo della burton sulle altrettanto stupende coppe d'argento finemente cesellate, adibite allo specifico consumo di questa bevanda.

I Romani

Partiamo da una considerazione: se Cleopatra seppe conquistare prima Cesare e poi Antonio avvalendosi delle sue raffinate seduzioni di amante e della sua ben nota arte culinaria, non può non aver iniziato questiillustri personaggi alle delizie della birra. Sembra quindi probabile e credibile che al loro rientro in patria abbiano conservato questa abitudine, se non altro in ricordo dei trascorsi amorosi.
Non sembra inoltre azzardata l'ipotesi che anche Trimalcione, il ricchissimo quanto buzzurro anfitrione descritto 4a Petronio nel suo Satyricon, bevesse birra egiziana, per sfoggiare un prodotto esotico con i suoi commensali. Al termine del pranzo raccontato con arguta dovizia da Petronio, sorprese i suoi ospiti facendo girare fra i triclini un sarcofago con dentro uno scheletro, tipica usanza di ogni fine pranzo dei Faraoni i quali volevano così ricordare ai commensali la caducità della vita, richiamandoli verso pensieri meno prosaici del mangiare e bere. Se Trimalcione conosceva così bene questa usanza, doveva conoscere altrettanto bene la birra egiziana, e non è improbabile che in qualche pranzo successivo abbia offerto zythum e curmy, anche per risparmiare una volta tanto il suo preziosissimo Falernum.
Si sa di certo come Nerone facesse largo uso di birra. Ne riceveva spesso in dono da Silvio Ottone, l'infelice marito di Poppea che aveva opportunamente spedito in Portogallo per potersi incontrare liberamente con lidi lui moglie. Era ovviamente birra della penisola iberica, la cerevisia, e l'imperatore la gradì tanto che volle presso di sé uno schiavo lusitano, abile mastro birraio, addetto alla quotidiana preparazione della bionda bevanda.

Il Medioevo

La tradizione popolare germanica narra di Gambrinus, mitico re, al quale la leggenda fa risalire l'invenzione della birra.
Grato per il dono della bevanda nazionale tanto amata, il popolo pensò bene di immortalare il personaggio, addirittura santificandolo e trasmettendolo ai posteri con il nome di Sanktus Gambrinus. Molti dubbi vi sono comunque circa la reale esistenza di questo re e controversa la sua presunta data di nascita. Contentiamoci quindi di confinare Gambrinus in un'area puramente leggendaria e ricordiamolo così come viene descritto:
un grassissimo rubizzo personaggio, con una fluente barba, vestito con abiti regali di foggia vagamente romanica, assiso su un sontuoso trono, il capo cinto da una corona di spighe d'orzo e in mano unospumeggiante boccale di birra. Di lui non si narrano epiche gesta di battaglie e di conquiste, ma solo di battaglie compiute su tavole imbandite1 coronate da colossali bevute di bionda birra.

Il riposo di un mastro birraio di un monastero in un dipinto di Eduard Grutzer.

un uomo mentre beve Birra  in un illustrazione del XVII secolo.

Solamente a partire dal Medioevo germanico si affina e si perfeziona l'arte di preparare la birra; da lavorazione puramente casalinga, diventa progressivamente di preparazione semindustriale. Si abbandona l'uso del tino di coccio e si principia a usare il più consono recipiente di rame che conferisce alla birra più raffinate caratteristiche.
È un continuo proliferare di fabbriche e fabbricanti7 e i villaggi fanno a gara a chi la produce meglio, mentre i villici gareggiano a chi ne beve di più, e i consumi crescono con il migliorarsi della qualità.
La birra viene variamente aromatizzata con rosmarino, ginepro, resine, eccetera, e soltanto dal 1270 in poi si inizia a utilizzare il luppolo di cui si scopre il felice connubio con il malto d'orzo. Ogni produttore comunque si regola in materia come meglio preferisce, secondo il gusto personale o la convenienza economica
- il luppolo era troppo costoso. Dobbiamo arrivare al 1516, al famoso editto di Guglielmo IV di Bavaria, per avere una precisa regolamentazione circa la corretta preparazione dellabirra, CO me prescritto nel Das Reinhietsgebot, letteralmente "legge della purezza". Questa, oltre a precise quotazioni di mercato, secondo qualità e misure, stabiliva: "..in particolare vogliamo che d'ora in avanti nelle nostre città, mercati e paesi, non sia usata o venduta alcuna birra con altri ingredienti che non siano solo luppolo, malto d'orzo e acqua... con pesanti sanzioni per i contravventori.
La birra era consumata in Inghilterra in grandissime quantità, ma il popolo beveva birra schietta solo nelle grandi occasioni; per il resto dell'anno doveva accontentarsi di una birra leggera1 ricavata dalle trebbie: ciò a causa dei pesanti balzelli che anche in quei tempi afiliggevano il paese In ogni contea si produceva un tipo di birra diverso, la cui formula era gelosamente custodita, e si dice che la migliore provenisse dalla zona del Wessex.
Anche la Scozia aveva la sua brava birra, e celeberrima era quella che producevano certi monaci di un convento nelle vicinanze di Glasgow e della quale si dice fosse un assiduo estimatore anche san Kentigern, fondatore appunto di quella città.
Ovunque in lnghilterra si produceva birra, con i più svariati sistemi e aromatizzazioni. Occorreva una regolamentazione, cosi, nel 1200, si giunse al codice di Hywc Dda, molto simile al successivo di Gugjielmo IV, con il quale si dettavano regole di produzione e di mercato, stabilendo pesanti sanzioni peri contravventori. Soltanto dopo il 1400 comincia in concreto 10 sviluppo industriale con il conseguente maggiore incremento dei consumi e nel 1454 Enrico IV concede la prima patente di fabbricazione della storia inglese alla Brewers' Company (Corporazione birraria). L'ltalia è, come noto un paese a forte vocazione vitivinicola. Ciò non toglie che le popolazioni italiche abbiano, più o meno saltuariamente, gustato quella bevanda che i barbari invasori si portavano dietro nelle loro scorribande sul nostro suolo. Quando poi gli invasori restavano a secco del loro prodotto originale, razziavano l'orzo dei campi per prepararsi in loco quella birra della quale non potevano proprio fare ameno.
Le prime popolazioni italiche a bere birra furono certamente quelle della fascia subalpina, e in particolare il Triveneto; zone, per la loro facilità di accesso, più bersagliate dai barbari che calavano dal nord. Il primo centro italiano del quale si ha notiziacerta di produzioni di birra locale fu Pavia, quando venne eletta capitale longobarda nel V secolo, e furono gli stessi conquistatori longobardi a insegnare le fasi della lavorazione alle genti del PO5tOt dopo che ebbero esaurite le scorte che si erano portate al seguito; anche Alboino, il quale calava in Italia nel 568 facendosi subito nominare re, ben presto esaurì la sua birra e allora fece requisire tutto il vasellame di rame del posto, tutto l'orzo dei campi, per produrre nuova birra per il suo esercito assetato.
Teodolinda, figlia di Gariboldo di Baviera, era una vera mastra nell'arte birraia. Per tutto il periodo della sua reggenza del Regno Longobardo, ceduto al figlio Adolardo, incoronato nel 625, era rinomata la sua corte di Monza dove teneva sontuosi banchetti a base di spumeggiante birra che gli ospiti facevano a gara a bere a più non posso.
Teodolinda, fervente cattolica1 contribui alla conversione delle sue genti e si diede da fare per raccogliere fondi destinati alla costruzione di chiese e basiliche. Due volte l'anno inviava a papa Gregorio Magno grana quantità a birra, che il pontefice faceva magnanimamente distribuire al popolo romano che apprezzàva il dono con canti, danze e festeggiamenti che duravano fin quanto duravano le scorte di birra. Papa Gregorio Magno, per li sua casta santità, non era un grande estimatore della bevanda, come d'altronde non lo era di tutte le bevande a base alcolica, preferendo la più semplice acqua. Meno casto e certamente meno in odore di santità Clemente V,assurto al papato nel 1300, il quale, per le sue origini tedesche, amava più del dovuto la buona birra che si faceva produrre in abbondanza e in abbondanza tracannava.
Cala Barbarossa in Italia e con lui fiumi di birra, prodotta dai tedeschi, fiamminghi e inglesi al soldo del condottiero. Le genti italiche imparano a produrla, più per fame oggetto di mercato con l'esercito occupante che per il proprio consumo, che stenta a crescere, poiché la bevanda è strettamente collegata al nordico invasore, quindi guardata con sospetto e con rancore. Sono momenti episodici che non lasciano alcuna traccia.
Di ben altro avviso sono i frati dei conventi che attribuiscono alla birra poteri medicamentosi, primi fra tutti i frati dell'abbazia di Montecassino. I contadini portano nei conventi l'orzo che i monaci trasformano in birra, con variazioni sul tema, e il commercio si allarga e l'uso si diffonde, anche se non esce ancora dai confini comunali.
La raccolta del luppolo in una guida inglese del XVI secolo.

La stella a sei punte era spesso associata all'immagine dei birrai

Ma la birra non viene ancora vissuta come bevanda alimentare, bensì solo come bevanda medicamentosa; viene somministrata ai convalescenti come ricostituente, alle partorienti perché producano più latte, ai malati quale dieta alimentare, come purgante, come digestivo e per migliorare la circolazione del sangue. È una birra forte, densa, corposa, carica a potere nutrizionale. Le famose birre d3Abbazia belghe ne conservano tuttora la memoria storica. Mentre il popolo ne fa un consumo saltuario e modestissimo, legato alle vicissitudini della salute, nelle corti reali il consumo è pressoché abituale, la birra è di casa insieme e più del vino. I monarchi ci tutto il nord, quando non sono in lotta fra loro, stabiliscono vincoli di sangue in un fitto scambio di parentele fra re e imperatori, e con le parentele si scambiano i tipi di birra.
L'imperatore tedesco Massimiliano, andando sposo nel 1500 a Maria Bianca visconti, fa produrre birra a Milano per distribuirla ai festanti milanesi, insieme a confetti e dolci.
Se ne beve abitualmente alla corte di Lorenzo il Magnifico, dietro suggerimento di Luigi Pulci, poeta, raffinato maestro culinario e grande estimatore di vini e a bevande, tanto da essere considerato il padre dei moderni sonirneben

L'età moderna

Per tutto il Medioevo in Italia si era prodotta birra esclusivamente con metodi artigianali, per il raro consumo dei pochi estimatori. Si trattava di produzioni discontinue, legate a fattori strettamente temporanei e locali. La birra si importava per lo più dall'Austria edera legata a un uso elitario mentre i consumi popolari confluivano essenzialmente sul vino, anche per ovvi motivi di minor costo e di più facile reperimento. Dobbiamo arrivare alla metà dell'Ottocento perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche organizzate con moderni criteri di produzione industriale. Sono ovviamente opera, per lo più, di intraprendenti industriali d'oltralpe, i quali vedono in Italia prospettive commerciali di sicuro interesse, ai quali fanno presto seguito anche commercianti italiani, soprattutto fabbricanti di ghiaccio che vedono nella birra il naturale complemento della loro attività, che si espletava esclusivamente in estate. Nel 1890, sono ben 140 le unità produttive Anche le importazioni salgono, se pure non nella stessa percentuale, ma è dopo la Grande Guerra che assistiamo a una vera e propria esplosione di consumi, dovuta, chissà, anche alla maggiore conoscenza e divulgazione della birra, apprezzata fra tanta morte e distruzione, proprio sui campi di battaglia.
Nel 1920 le fabbriche italiane sono soltanto 58 ma la produzione raggiunge livelli assai notevoli. Crescono e si consolidano quelle aziende che, nel volgere di alcuni decenni, diventeranno le grandi realtà industriali del settore. Nel 1927, a causa delle forti proteste da pane dei vinai che temono il troppo successo della birra, viene varata la legge Marescalchi, la quale, con l'apparente scopo di favorire l'agricoltura ma con la recondita speranza di peggiorare la qualità della birra, impone ai birrai restrizioni produttive e di commercializzazione tali da rendere quasi impraticabile la diffusione. L'effetto è immediato e i consumi scendono vertiginosamente, non tanto per il livello qualitativo che rimane comunque accettabile, quanto per l'inevitabile lievitazione dei prezzi che pongono il prodotto fuori della portata delle masse Molte fabbriche chiudono e falliscono; le restanti soffrono grandi difficoltà e sono costrette a licenziare il personale per poter sopravvivere in qualche modo
Di nuovo la guerra, e la produzione rallenta progressivamente, fintanto che tutte le fabbriche, negli ultimi anni del conflitto, sono costrette a fermarsi per mancanza di materia prima. Cessate le ostilità, gli industriali del settore binario si leccano le ferire - le loro aziende sono uscite dal periodo bellico più o meno danneggiate - e riprendono faticosamente l'attività. Dobbiamo comunque arrivare al 1950 per risalire alle quote produttive del 1925. Va detto comunque che sino a quegli anni la birra veniva bevuta in un arco di tempo che andava da marzo a settembre; rientrava, nella mentalità corrente, fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale veniva consumata esclusivamente al banco. Era addirittura opinione popolare che la preparazione avvenisse con chissà quali misteriosi sciroppi, né più né meno come un'aranciata o una gassosa. Nei mesi invernali quindi le fabbriche chiudevano, dedicandosi a lavori di manutenzione e riordino delle strutture. Dal 1960 finalmente la birra accede al canale alimentare, dal quale può raggiungere facilmente le famiglie, e così, nel volgere di un decennio, la produzione arriva a toccare i 6 milioni di ettolitri. I consumatori hanno compreso lo spirito della bevanda, nobilitandola nella sua giusta dimensione, e tutti ormai sanno che si ricava dal malto e che non ha nulla a che vedere con le bibite gassate.
Le unità produttive sul territorio italiano sono attualmente 18, con oltre 3.500 dipendenti, e fanno tutte parte per lo più di grossi gruppi internazionali. Siamo ancora lontani dai consumi di birra delle altre nazioni europee; con i nostri 27 litri siamo all'ultimo posto, preceduti dalla Francia (altro paese a forte vocazione vitivinicola) con 39,3 litri, dalla Grecia con 42 litri e dalla Spagna con 66,5 litri.
Ma il futuro fa ben sperare! Sempre nuovi consumatori si accostano ogni giorno a questa splendida antichissima bevanda, in virtù delle sue caratteristiche di freschezza, bevibilità e digeribilità, ma grazie soprattutto alla europeizzazione delle aziende di produzione, che ha tatto fare un grosso balzo in avanti alla qualità offrendo ai consumatori una straordinaria gamma di assortimento in grado di soddisfare i palati più esigenti.

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